giovedì 31 agosto 2017

LA DEFORESTAZIONE CAUSA PRIMARIA DEL CAMBIO CLIMATICO







Le foreste sono la salvaguardia della biodiversità e con l’assorbimento della CO2 contribuiscono in maniera determinante a contrastare il cambio climatico.


 La capacità dei boschi tropicali di compensare le emissioni di carbonio, purtroppo, è minacciata dalla crescente domanda di materia prima a scopi industriali (edilizia, mobili, carta…) ed energetici (specialmente in Africa e Latinoamerica, ma anche in Italia, per via delle distorsioni di mercato introdotte dagli incentivi alla generazione elettrica da biomasse). Se il legno pregiato potesse essere sostituito da un materiale ricavato da piante a rapida crescita, i boschi tropicali soffrirebbero una minore pressione antropica e avrebbero il tempo necessario (decadi) per rigenerarsi.


Alle nostre latitudini si aggiungono i danni enormi prodotti dagli incendi boschivi.
Nel 2016 sono andati distrutti dagli incendi oltre 27mila ettari. Quest'anno, fra metà giugno e metà luglio sono andati in fumo 26.024 ettari.

A fine luglio sono stati battuti tutti i record: il totale degli ettari bruciati da inizio anno è stato di 74.975. La Sardegna ha contribuito con oltre 3.500 ettari andati in fumo.


 Secondo il WWF ben 232 milioni di ettari potrebbero andare distrutti entro il 2050.


Ben vengano gli accordi internazionali come il  #protocollo di Kyoto e il COP21 di Parigi, ma se non si programma una prevenzione degli incendi ed un progetto intensivo di riforestazione, i rimedi proposti finiscono per essere dei palliativi.

Per riequilibrare l'ambiente non è sufficiente ridurre le emissioni di CO2, ma è indispensabile l'azione dei boschi che producono ossigeno e fagocitano CO2.

 Quali sono e come vengono prodotti i gas responsabili dell'effetto serra?

Quando si parla degli obiettivi di riduzione emissiva si fa sempre riferimento a valori espressi in termini di CO2eq (CO2 equivalente), una unità di misura che considera la somma ponderata della capacità serra di tutti i 6 diversi gas (o famiglie di gas) oggetto del Protocollo di Kyoto:

 – la CO2, appunto, prodotta dall’impiego dei combustibili fossili in tutte le attività energetiche e industriali oltre che nei trasporti;
– il CH4 (metano), prodotto dalle discariche dei rifiuti, dagli allevamenti zootecnici e dalle coltivazioni di riso;
– l’N2O (protossido di azoto), prodotto nel settore agricolo e nelle industrie chimiche;
– gli HFC (idrofluorocarburi), impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere;
– i PFC (perfluorocarburi), impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere;
– l’SF6 (esafluoruro di zolfo), impiegato nelle industrie chimiche e manifatturiere.


Col protocollo di Kyoto si persegue l'obiettivo di ridurre drasticamente le emissioni di inquinanti incidendo nei settori dell'autotrasporto che incide per il 23%, la climatizzazione delle abitazioni che incide per il 40%, e l'industria.


  • Per l'autotrazione 

Secondo la tabella di marcia dell'industria automobilistica, rispetto ai livelli del 1990 le emissioni totali di CO2 generate dal settore dei trasporti saranno tra il 20% e il 9% inferiori entro il 2030 e del 54‑67% inferiori entro il 2050. La tabella prevede infatti di dimezzare entro il 2030 l’uso delle autovetture ad alimentazione tradizionale nei trasporti urbani ed eliminarle del tutto entro il 2050; conseguire nelle principali città sistemi di logistica urbana a zero emissioni di CO2 entro il 2030.


  • Per le abitazioni 

Tutte la nazioni aderenti si sono impegnate a ridurre le emissioni prodotte per la climatizzazione degli edifici incentivando la  #riqualificazione energetica dell'esistente  e introducendo nuove norme per le nuove costruzioni che dovranno rispettare i parametri #NZEB (Near Zero Energyuidings B), ovvero  #Casa Passiva.


  • Per l'industria

Per le aziende è stato definito un “Piano Nazionale di Assegnazione” (PNA), il quale alloca i diritti di emissione per ogni singolo Stato nell’ambito di ciascuno dei due “periodi di impegno” del Protocollo di Kyoto (PNA I = 2005-2007; PNA II = 2008 -2012).

Sapevate che il cemento Portland, largamento utilizzato in edilizia, è responsabile della produzione di una tonnellata di CO2 per ogni tonnellata di prodotto realizzato?    Clicca qui per l'articolo dedicato.

Sapevate che gli allevamenti di bestiame generano più gas serra dell’intero settore dei trasporti?
Secondo il rapporto Livestock’s Long Shadow, pubblicato nel 2008 dalle Nazioni Unite, l’allevamento degli animali è la causa principale dei cambiamenti climatici e contribuisce a quasi due terzi delle emissioni agricole di gas ad effetto serra.

E' evidente che il protocollo di Kyoto ha un campo di intervento limitato perchè è difficile, se non impossibile, limitare la produzione di cemento (immaginate le resistenze di gruppi come Italcementi, Lafarge, etc., oppure ridurre gli allevamenti di bestiame.

Recentemente gli USA, responsabili del 32% di emissioni inquinanti, si sono dissociati dal protocollo di Kyoto.

E' altrettanto evidente che, per riequilibrare l'ecosistema, è indispensabile l'azione dei boschi che si nutrono di CO2 e liberano ossigeno.

 

Come intervenire?


Tutti noi possiamo intervenire rispettando il protocollo di Kyoto con la  #riqualificazione  delle nostre abitazioni e costruendo con criteri di efficientamento energetico, sensibilizzando le nuove generazioni (soprattutto a livello scolastico) sugli effetti devastanti della deforestazione e sull'importanza dell'equilibrio dell'ecosistema.

Le istituzioni dovrebbero salvaguardare come ricchezza primaria le superfici boscate e proteggerle dagli incendi con sistemi di videosorveglianza aerea che consentono l'individuazione immediata dei focolai e dei piromani. Per questi ultimi proporrei una carcerazione nei mesi da giugno a settembre per tutti gli anni della loro miserabile vita.

Purtroppo  la classe politica sembra del tutto indifferente e lo ha dimostrato con la recente riforma del Corpo Forestale. Tutti i disastri compiuti dagli ultimi governi vengono eufemisticamente chiamati "riforme".

Per rimediare ai danni compiuti è però indispensabile un piano di riforestazione.

 

Abbiamo già detto che se il legno pregiato potesse essere sostituito da un materiale ricavato da piante a rapida crescita, i boschi tropicali soffrirebbero una minore pressione antropica e avrebbero il tempo necessario (decadi) per rigenerarsi.


La riforestazione quindi deve essere effettuata con piante a rapida crescita come, ad esempio, il   #bambù gigante, i cui germogli crescono ad una velocità di circa un metro/giorno !!


Un ettaro coltivato a bambù può fissare 8,86 tonnellate di Carbonio/anno nel suolo e nei prodotti durevoli, l’equivalente a 31,5 tonnellate di CO2
La quantità di emissioni di CO2 risparmiate all’ambiente è di 3,23 ton.


Un aspetto molto importante è connesso al risanamento di aree inquinate e all’assestamento di terreni a rischio idrogeologico: il bambù è in grado di assorbire gli inquinanti dal terreno e restituire ossigeno all’ambiente, inoltre con la sua “ragnatela” di radici riduce i rischi di smottamenti del 75%
Rappresenterebbe anche una fonte di guadagno notevole perchè, a parità di superficie di piantagione, la quantità di pannelli di fibra di bambù ricavabile al termine di un anno è la stessa ricavabile da un bosco tropicale in 20 anni.

Con i 4,6 miliardi messi a bilancio per "accogliere" gli immigrati si potrebbero riforestare (consederato un costo di 5mila €/ha) ben  920mila ettari.


Non si tratta di una pianta autoctona e chissà quanti benpensanti storceranno il muso, ma si tratta di una pianta che sopporta bene anche gli incendi, consente uno sviluppo economico notevole in termini di posti di lavoro, di creazione di aziende di trasformazione e aumento della ricchezza diffusa (forse sarebbe meglio parlare di diminuizione della povertà dilagante).

La riforestazione costringerebbe i nostri governanti a provvedere al fabbisogno idrico. In ogni caso, se non risolviamo questo problema in tempi brevi, la nostra isola è destinata alla desertificazione.

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